28 aprile 2015

Nella percezione comune l’alpinismo è legato alla visione dell’ascesa, d’un movimento verticale che da un punto di partenza in basso, porta alla conquista d’una vetta, d’una parete o comunque d’un obiettivo posto sopra la testa dello scalatore. Esiste invece anche una dimensione “orizzontale” di questa disciplina. Gli alpinisti che ci si sono misurati, ben ne conoscono insidie e pericoli.

L’ingaggio è spesso infatti assai maggiore rispetto alle salite verticali al punto che sono necessarie conoscenze specifiche sulle tecniche di progressione e di autosoccorso. Di queste gli itinerari su cengia costituiscono una tipologia assai precisa d’itinerario alpinistico. Non è un caso che l’alpinismo dolomitico inizi tradizionalmente con la conquista della vetta del Monte Pelmo (3.168 m. slm.) lungo appunto l’esile cengia che ne incide la parete sud e che da quel giorno prenderà il nome del suo salitore: Cengia Ball.
Gli esempi di questo tipo d’itinerario sono vari e pur essendo parecchi di questi, grazie alla loro messa in sicurezza con tratti attrezzati, diventati meta prevalentemente di escursionisti avanzati, altri mantengono una natura più prettamente alpinistica. Pensiamo ad esempio ad uno dei miti dell’alpinismo dolomitico, la Cengia degli Dei sul Jof Fuart (2666 m. s.l.m.) oppure nelle Prealpi Trentine, la Cengia dei Contrabbandieri (Sentiero Torti) sulla parete di Ponale a Riva del Garda.
È stato proprio nel documentarmi sul Sentiero Torti che mi sono imbattuto per la prima volta nella Cengia della Cerelle, definito come un raro esempio in ambiente appenninico di sentiero alpinistico analogo al Torti. Un itinerario dal carattere esplorativo, in un ambiente altamente suggestivo che percorre la parete meridionale del Monte Priora lungo un sistema di cenge a picco sulla forra dell’Infernaccio. Un elemento fondamentale del suo fascino è poi sicuramente l’alone di mistero che lo avvolge, pochi i segni sul terreno e poche le relazioni che lo descrivono. Un itinerario da conquistarsi quindi sotto diversi punti di vista. Con pungoli di questo genere, resistere alla curiosità era impossibile. Così per la prima volta io e Donatella ci rechiamo all’Infernaccio nell’aprile del 2012. Giornata piovigginosa che sconsiglia di provare una ripetizione ma che è indicata per un sopralluogo. Ben presto lungo il sentiero oltre la parte più stretta della gola individuiamo sopra di noi i caratteristici pinnacoli che segnano inequivocabilmente un punto di passaggio della Cengia. Torniamo quindi a giugno dello stesso anno. Dopo aver provato l’attacco in vari punti, cominciamo a salire per un canale che diventa via via più ripido. La roccia è friabile ed improteggibile, la salita si fa molto delicata giungendo in alcuni punti anche a passi di III. Comincio già mentalmente a pensare sul come attrezzare una ritirata quando alla mia destra scorgo un ancoraggio da canyoning. Salgo su un terrazzino e mi ritrovo alla fine del canale. Alla mia sinistra il caratteristico stazzo ricavato in una grotticella naturale, descritto e fotografato nella relazione in mio possesso, alla mia destra uno dei passaggi topici di questo itinerario: il Passo del Gatto. Siamo sulla Cengia delle Cerelle! L’entusiasmo è alle stelle, l’intuizione era corretta. Quello che abbiamo risalito altro non era che il canale di canyoning descritto nella relazione. Avanziamo quindi lungo il sentiero immersi in un paesaggio grandioso con visioni mozzafiato sulle pareti settentrionali della Sibilla che costituiscono il versante opposto al nostro del precipizio dell’Infernaccio. Le difficoltà alpinistiche c’ingaggiano con passaggi aerei esposti ed improteggibili. Qualche tratto attrezzato in modo rudimentale dove integriamo con il nostro materiale. Un discesa in corda doppia in un ripido ghiaione a strapiombo sulla gola del Tenna da cui bisogna uscire con movimenti delicati in traverso. Questo sentiero viene definito dai locali anche come Sentiero delle Capre visto che veniva apparentemente usato per la transumanza delle greggi. Ma facendo quella calata mi sono chiesto come avranno mai fatto le capre, e soprattutto i pastori, a superare un balzo di questo genere? Infine le pareti attorno a noi si fanno meno ripide ed entriamo nel bosco dove per tracce di sentiero (spesso infido ed esposto) giungiamo all’Eremo di San Leonardo e da qui per l’agevole (finalmente!) sentiero escursionistico fino al parcheggio delle Pisciarelle. Le emozioni che c’ha lasciato questa gita sono talmente profonde che decidiamo nel 2013 di proporla come uscita sezionale. Così, con un gruppetto di 8 soci, domenica 24 giugno, dopo aver trascorso il sabato ad arrampicare nella falesia di Rosara ad Ascoli, partiamo di buon ora dalle Pisciarelle. Obiettivo dell’uscita è quella di percorre tutta la cengia, dall’attacco originale che s’intercetta più a monte rispetto al nostro precedente punto d’attacco. Superata la gola con i pinnacoli da dove eravamo saliti la prima volta, continuiamo a risalire il Tenna fino al bosco di noccioli citato nella relazione. Abbandoniamo il sentiero principale e c’addentriamo a caccia d’indizi. Troviamo un paio d’ometti e poi una traccia di sentiero che ci fa salire verso est fino ad una stretta gola. E’ questo il punto d’attacco descritto nella relazione. Mettiamo imbraghi e caschi e partiamo. Aggiriamo la spalla di roccia su sentiero esposto e seguiamo il sentiero che però ben presto comincia a scendere. Inizialmente lo consideriamo normale ma visto che dopo una mezz’ora ci siamo abbassati in modo rilevante e non ci sono modalità di risalita cominciamo ad insospettirci. Concludiamo che la strada non possa essere corretta. Torniamo indietro al punto d’inizio ed a questo punto cominciamo ad andare avanti ed indietro un paio di volte ma niente da fare, non si trovano passaggi in salita. Si scende solo. Infine notiamo che la spalla attorno cui abbiamo girato per un paio d’ore presenta una spaccatura con roccette che ne permettono la risalita. Proviamo anche quella strada ed in breve ci troviamo sopra lo sperone dove vediamo un grosso ometto con un caratteristico bastone a forma di serpente infilato al suo interno. E’ descritto e fotografato nella relazione! Il passaggio è quello!! A questo punto però s’è fatto tardi è già mezzogiorno passato e l’itinerario è molto lungo. Inoltre le previsioni meteo per il pomeriggio non sono buone. Prudenza insegna che sia meglio rinunciare e così facciamo. L’amarezza che lascia una rinuncia è un sentimento che ben conoscono tutti coloro che vanno in montagna. Ma una rinuncia lascia anche e soprattutto il pungolo di riprovarci. E sarà quello che faremo di nuovo quest’anno il 18 e 19 aprile 2015, sperando che le dispettose caprette delle Cerelle di nuovo non ci tendano qualche tranello.

Post Scriptum: per chi volesse sapere come è andata a finire la nostra avventura sulla Cengia delle Cerelle
Causa impegni di lavoro (miei) ed un meteo non proprio ottimale, spostiamo la programmazione dell’uscita dal 18-19 al 25-26 Aprile. Del gruppo del 2013 siamo Doni, Davide ed io. Nuovi partecipanti sono Jerry, Roberto e Mauro. Per motivi diversi non sono potuti venire gli altri amici del primo tentativo: Stefania, Claudio, Luca e Gabriele. M’hanno già detto che comunque ci ritorneranno anche loro, questo luogo è magico ed io li ho pensati quando eravamo lassù. La signora dell’agriturismo Colle Verde di Montefortino ci offre la sua consueta generosa ospitalità. Alle 7.45 di domenica 26 Aprile partiamo dal parcheggio dell’Infernaccio. L’inverno è stato pesante nei Sibillini, le condizioni del sentiero di fondovalle non lasciano spazi a dubbi. Superiamo nevai e frane. Gli accumuli di materiale slavinato lungo i canali sono importanti. Non avevo mai visto l’Infernaccio in queste condizioni. Comunque man mano che saliamo le condizioni del terreno migliorano. Complice la vegetazione ancora poco rigogliosa (o ripulita dalle frane?) la visibilità sul terreno è migliore e le tracce sono più evidenti. Superato il canale del Rio Cesara troviamo rapidamente l’imbocco del sentiero che porta all’attacco della cengia. In un terreno martoriato come quello che stiamo percorrendo, gli ometti sono in condizioni troppo buone per non essere stati rifatti da poco. Che le caprette delle Cerelle questa volta abbiamo voluto darci una mano? Comunque giungiamo alla base dello sperone dove avevamo sbagliato nel 2013. Questa volta troviamo anche un grosso ometto. Risaliamo, ritroviamo il bastone incastrato tra i massi (ogni anno un pochino più corto) e da li verso destra. La traccia di sentiero è evidente e rassicura una fila d’ometti che sembrano i sassolini di Pollicino. Sopra di noi ben presto troviamo l’Occhio del Ciclope e dopo poco la prima grotticella e poi la seconda con lo stazzo. Ci troviamo quindi sopra il canale che abbiamo risalito io e Doni nel 2012. Da quel punto il tracciato ci è noto anche se non vuol dire che si debbano prendere le difficoltà sottogamba. Proseguiamo in un ambiente selvaggio con panorami che non smettono mai di emozionarmi. Infine verso le 15.30 siamo all’Eremo di San Leonardo giusto in tempo per schivare l’acquazzone sospeso sopra di noi almeno un’ora. Alle 17.00 ca. siamo di nuovo al parcheggio. Vivo come una profonda verità la credenza di taluni alpinisti che alle montagne si debba chiedere il permesso. Così come che quando si ritorna con un “successo” non è mai l’alpinista che è stato bravo ma è stata la montagna che l’ha fatto passare. Questo itinerario è detto anche “Sentiero delle Capre”. Per Doni e me questa è stata la quarta volta che abbiamo chiesto il permesso, infine le caprette delle Cerelle c’hanno fatto passare.

Marcello Orioli

 

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